La marmitta ed il grembiule

Scegliendo i libri dall’armadietto, Battista rammentò con piacere le immersioni nelle acque limpide del Giglio e i dolci tramonti di Campese.
Da quella spiaggetta al centro del piccolo golfo, che ogni sera sta in prima fila davanti alla lenta discesa del sole negli abissi, gli piaceva assistere allo spettacolo in solitudine, richiamando sul magico sfondo, con generose manciate di pane secco, le vorticose frenesie di gabbiani che tanto amava.
Ma quello era il primo giorno di lezione, che per Battista segnava da sempre il vero inizio dell’anno scolastico; per giunta, il cielo era scuro e minaccioso, perciò la memoria, ormai, stava già sfumando il bel ricordo nei toni del passato.

“Ciao, prufessò! Si ricomincia, eh?” Disse Mastroballante alle sue spalle. Lui si voltò sfogliando il testo del corso fra le mani.
“Ciao Mastro, ti sei saziato, di tarantelle, quest’estate?”
“Eccome no! – Esclamò l’altro con un saltello e una mezza riverenza – Tarantella, pizzica… di tutto. Pure ieri sera.”
Battista osservò l’insolita posa: “É il ballo di Pulcinella, la pizzica?” Domandò, con un interesse esagerato.
“Ma qua’ Pulcinella! Ci stanno un sacco di ragazze, dovresti venire pure tu qualche volta.”
“Sono sposato, Mastro, e pigro come un gatto, lo sai… – Rispose – Ma parliamo di cose serie piuttosto: allora quest’anno me la dai, una mano, o no?”
“Eeehhh, sì… te l’ho detto: mo che Cattani mi da una traccia…”
“Va bene, ma intanto vedi se riesci a farmi almeno il foglio elettronico, prima che finisca di nuovo l’anno… Guarda qua: sono appena una trentina di pagine; io inizio con la teoria per almeno quattro o cinque settimane, così hai tutto il tempo per dargli un’occhiata, poi tu fai due o tre lezioni su Excel dopo la prima verifica, in modo che io possa preparare i passi successivi con un po’ di respiro… Te la senti?”
Mastroballante scosse la testa a labbra strette, in un gesto di assenso che voleva mettere ben in chiaro il pesante sforzo dell’impegno, dopo di che si avviarono entrambi verso la terza B2.

La sentinella sull’uscio si precipitò in aula appena li vide svoltare intorno al pilastro delle scale, e subito, da dentro si levò un potente “chicchirichììììì!!!”, che, come la prima volta, risuonò beffardo in tutta la scuola.
Mastro abbozzò un risolino divertito, Battista si augurò che quell’imbecille non fosse toccato proprio a lui.
Giunto in aula, invece, si rese conto che la realtà era ben peggio, secondo il suo modo di vedere, infatti, li aveva tutti e tre gli incursori del collegio, e con la ragazza, il poker d’assi si chiudeva.
La fila davanti era semivuota. Nel banco proprio di fronte alla cattedra, lei, a gambe accavallate nell’inutile minigonna, esibiva lo Swarowsky nell’ombelico, e come non bastasse, metteva in bella mostra tutto ciò che, ai tempi del professore, il costume più audace avrebbe rimandato al sospirato mistero dell’intimità, mentre ora ammetteva il più morigerato – in nome dell’emancipazione – forse persino in chiesa.
Seguivano due file e mezza di volti maschili ancora sconosciuti che lo guardavano curiosi, e infine, annidati in fondo a sinistra, i tre del karatè o, se si preferisce, del chicchirichì.
Il più piccolo stava proprio nell’angolo, con un sorrisetto provocatorio, acquattato sul banco come per nascondersi meglio dietro a quelli intorno; il karateka, cupo in viso, lo copriva a sinistra con la sua stazza poderosa, e il terzo sedeva composto nella colonna accanto, vicino ad un ragazzo mai visto dall’espressione attenta.
I professori salutarono e si presentarono, poi Battista iniziò l’appello.
Giunto a Malomo, l’esperto di arti marziali si alzò, e accennando al compagno di banco, disse: “Sono io prof… Adesso che ci ha chiamato, possiamo uscire, io e Bazza?”
Nel sollevare lo sguardo dal registro, l’insegnante non poté evitare di scorrere dai tacchi ai capelli il quadro sensuale in primo piano davanti ai suoi occhi, e benché involontario, un brivido gli percorse la schiena.
Cercò il nome della ragazza nell’elenco, e, fra lo stupore generale, ordinò: “Naomi, vai a farti prestare un grembiule dalle bidelle.”
Lei parve trasecolare. “Ma… prof!!!” Protestò.
“Cosa c’è?”
“Scherza, vero?”
“Neanche per sogno, dico sul serio. Vai a farti dare un grembiule dalle bidelle e indossalo.”
“Ma non lo fa nessuno, prof! Non può mica costringermi lei a portare il grembiule!!!”
“No, ma a vestirti sì. Quando ci sono io, in classe vieni vestita, se no puoi stare anche nuda, però fuori; scegli tu.”
La ragazza pestò un piede con un gesto di stizza.
“Ma non è giusto! – Ribatté – Lei non può imporre come ci dobbiamo vestire… e se mi costringe, io vado a dirlo al preside.”
“Dillo a chi vuoi: ne hai diritto. Quanto a cosa sia giusto o no, avremo tempo di chiarirci meglio; intanto, però, qui comando io, signorina Fornaciari, perciò adesso piantala di fare storie, e vai.”
Lei fece per dire ancora qualcosa, ma poi obbedì di malumore, borbottando minacciose proteste senza preoccuparsi di non essere udita.
Terminato l’intermezzo, Malomo alzò la mano prima che Battista proseguisse l’appello dimenticandosi di lui, e allo sguardo interrogativo che ne seguì, fece di nuovo la sua richiesta: “Allora prof, adesso possiamo uscire, io e Bazza?”
Il professore scrutò lo sguardo buio del ragazzo, esibendo del suo un sorriso appena accennato.
“Siete siamesi voi due, che dovete uscire insieme?” Domandò.
“No prof, siamo Italiani, noi.”
Il sorrisetto di Battista si allargò in modo impercettibile; alcuni degli Italiani risero sarcasticamente.
“Intendevo dire ‘gemelli siamesi’: quelli che hanno qualche parte del corpo in comune, e devono fare tutto insieme perché non si possono staccare.”
“Ah, scusi, prof, ha ragione… Possiamo uscire, allora?”
“Non mi hai risposto… di che strana forma d’incontinenza sincronizzata soffrite, da dover andare a far pipì insieme, senza poter nemmeno aspettare l’appello della prima ora?”
“Ma no, prof, non è per andare in bagno.”
“E allora per cosa?”
“Maaahhh, ecco… Hanno rubato la marmitta di Bazza.”
“O bella, e quando, che siete appena entrati?”
“Ieri, prof.”
“Scusa, sai, ma mi devi spiegare, perché da solo non ci arrivo. Ieri hanno rubato la marmitta di Bazzagli, e oggi tu e lui volete uscire insieme… Per andare dove? A fare cosa? E poi cosa c’entri, tu, con la marmitta di Bazzagli?”
“Io e Bazza siamo amici da piccoli, prof.”
“Embe’?”
Malomo si volse un po’ a sinistra, verso il terzo elemento della compagnia del chicchirichì.
“Oggi Conte ha scoperto chi è stato.” Disse.
“Embe’?”
“É un balordo qui di San Lazzaro… uno che conosciamo e sappiamo dove trovarlo.”
“Non mi dire! E voi volete fare giustizia con una lezione indimenticabile, se ho capito bene, vero?”
Ritrovando di botto il sorriso ebete di poco prima, Bazzagli si strinse nelle spalle, allargando le braccia a palmi aperti come per dire: “Be’… è ovvio, no?”, ma fu di nuovo Malomo a parlare anche per lui.
“Beeehhh, sa com’è, prof…” Disse, accennando per la prima volta un mezzo risolino.
“Eh, sì… – convenne questi affettatamente – lo so. Ma il regolamento d’istituto dice che si esce uno solo per volta, che non si può prima della terza ora, e che non si lascia la scuola… Quello di stato invece, che si chiama legge, dice che la giustizia è affar suo, e le faide sono proibite, perciò rilassatevi. Anzi, adesso tu ti sposti lì, e tu, Bazza, dall’altra parte.” Così dicendo, indicò loro i banchi alle estremità della prima fila: Malomo a destra della cattedra, e il compare a sinistra.
Questi ritrovò d’incanto la voce. “No, prof! Da solo?” Gemette.
“Sì Bazzagli, ma se fa buio accendiamo la luce… te lo prometto.”
Malomo, invece, pretendeva il diritto all’apartheid: “No, prof, mi dispiace, ma io in mezzo ai Marocchini non ci vado.” Dichiarò.
“Come hai detto? – Ribatté Battista a muso duro – Senti, non vorrei sporcarti la ‘fedina’ dal primo giorno con una nota per intemperanze razziali, ma hai un modo solo per evitarlo: conformarti senza discutere oltre, e chiedere scusa per quello che hai detto.”
Malomo esitò, combattuto fra un impulso di rabbia e un barlume di buon senso, ma infine obbedì, e l’amico lo imitò subito dopo.

Al termine dell’appello, risultò che Bazzagli, Malomo e Conte erano ripetenti della terza liceo dell’anno prima, la ragazza proveniva anch’essa da una terza, ma di un’altra scuola, e il resto della classe era l’assortimento multietnico degli alunni di varie seconde che avevano scelto di proseguire con la meccanica.
Gli stranieri stavano perlopiù a destra, la maggior parte degli Italiani a sinistra, e in centro, i colori si mescolavano come le acque di un fiume a quelle del mare nei pressi della foce.
Qui, in seconda fila dietro alla Fornaciari, sedeva Vivarelli, la “sentinella”: un tipo sveglio che ebbe l’incarico di disegnare la pianta della classe; durante le ore di sistemi, ci si sarebbe dovuti attenere sempre ad essa.

In attesa del lavoro di Vivarelli, i due insegnanti si dedicarono ad approfondire la conoscenza dei ragazzi. Mastroballante si aggirava fra i banchi soffermandosi qua e là a parlottare con loro, e intanto Battista li intratteneva dalla cattedra informandosi sui nomi, i luoghi di provenienza ed i precedenti.
Ne venne fuori un quadro preoccupante: riguardo al grado di preparazione generale, si addensavano seri dubbi su molti, e quanto alle attitudini, sembrava che qualche elemento non fosse affatto portato al rigore della scienza, ma peggio di tutto era la Babele linguistica, visto che almeno la metà degli stranieri era appena arrivata in Italia dai posti più strampalati del mondo, senza sapere una parola d’Italiano.
“E adesso come gliele racconto le espressioni logiche, a questi qui?” Si domandò Battista, costernato.
Ad ogni modo, dopo che Vivarelli gli ebbe consegnato la piantina iniziò a provarci, sfumando quasi inavvertibilmente dall’intrattenimento ai primi segreti dell’elettrotecnica.

Aveva appena cominciato, che la Fornaciari rientrò negli stessi panni in cui era uscita.
“Mi ha autorizzato il preside!” Proclamò sedendosi al suo posto con aria trionfante, in risposta a quella interrogativa di Battista.
Ma la replica, asciutta, non tardò più di un attimo: “Vagli a dire che qui ci sono io, e finché ci sono io, tu in classe, nuda, non entri… Adesso va’ a metterti un grembiule, o resta fuori fino alla fine delle mie ore. Sono stato chiaro?”
Di nuovo, lei fece per ribattere, ma poi ci rinunciò. si alzò lentamente, ed uscì.

Poco dopo, s’udì bussare leggermente alla porta, e all’invito di Battista ad entrare, la ragazza la socchiuse appena.
“Prof, le bidelle non ce l’hanno un grembiule per me… – Disse dallo spiraglio – Posso stare in classe così, per oggi?”
Le fu concesso un permesso straordinario, in cambio della promessa di un abbigliamento a venire più consono, poi l’ora si avviò al termine senza altri incidenti.

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“Il professor Battista” edizione cartacea: https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/388270/il-professor-battista/