Oggi Torill è ripartita per il Grande Nord della sua Norvegia.
Ci siamo conosciuti solo ieri, ma nondimeno, il nostro legame è intessuto di magia, e destinato all’eternità.
Se ancora non sai cos’è l’amore, o non lo sai più, ascoltami: questa è la storia che lo ha spiegato a me.
Dunque, il regalo del dottor Benservito mi aveva liberato luglio, però Marta aveva deciso da assai prima che il suo Inglese aveva bisogno di cure, e avendole prenotate da tempo a Londra, era volata là, lasciandomi incustodito.
Ma cos’hai capito? Sto parlando dell’Inglese che studia all’università: la lingua inglese!
Beh, dirai che potevo andarci anch’io, con lei, no?
E, invero, un pensierino ce l’avevamo fatto, però poi è saltato fuori che il corso al rinomato college della mia fidanzata era già completo e un po’ troppo caro, per me che non ne ho poi tanto bisogno, senza contare che l’estate britannica io l’ho già sperimentata, e di tutta quella pioggia ne ho avuto abbastanza. Per giunta, Marta s’era già organizzata con le sue amiche, e l’idea di un infiltrato nel manipolo di amazzoni sembrava turbare un po’ i sonni a qualcuna che forse aveva dei progetti come hai pensato tu, riguardo all’Inglese, perciò sono andato ad attenderla a Rimini, in un ameno albergo in riva al mare convenzionato con la Saga Tours, che è una nota agenzia di viaggi norvegese.
Torill ha 16 anni, e quindi va ancora in giro con mamma e papà: la signora in forma smagliante, e il babbo ignaro, per diversi motivi entrambi gelosi come gatti rossi della figliola, che è bella da mozzare il fiato.
Adesso è lontana mezzo mondo, ma per 15 giorni ha abitato all’hotel Astra, a poche camere di distanza dalla mia.
Prima di ieri sera, non l’avevo considerata un gran che: era sempre sotto scorta…
Io passavo il tempo fra sole, mare, e serate in discoteca, spese in approcci che mi mettevano più in crisi quando sembravano promettere bene che quando, praticamente sempre, si risolvevano in uno sguardo ionizzante, capace di leggere la pubblicità alle mie spalle anche se c’ero appoggiato contro.
Nonostante le avventure che t’ho raccontato, infatti, fondamentalmente io non sono mai stato un latin lover: loro le donne se le prendono quando e come vogliono, mentre le mie pochissime vittime, invece, a parte qualche rara eccezione, hanno sempre avuto il loro bel daffare a soccombere.
Che vuoi, il fatto è che sono stato educato come Woody Allen: con un senso del pudore esagerato ed un moralismo vittoriano per cui tuttora, nonostante Woodstock e la liberazione sessuale, non riesco a sbarazzarmi dell’idea che fare delle avances ad una donna sia quasi oltraggioso, essendo il sesso una roba un po’ sozza per dei maschiacci viziosi, e addirittura immonda per l’altra metà del cielo… un peccato grave, insomma. Ma siccome peccatori siamo per nascita, occorre non tradire se stessi, l’importante è farlo in modo che sembri un fioretto. Una bella impresa, come fare? “MAMMA! CECCO MI TOCCA!” … “Toccami Cecco che mamma non vede.” Sì, vabbè, però si può fare anche un po’ di confusione qualche volta.
Era mia madre che, più o meno consapevolmente, m’insegnava così, e dato che in queste cose io somiglio molto a tutti i miei amici, ritengo che le sue coetanee facessero altrettanto con loro.
Come hai potuto constatare finora anche qui, però, queste idee non sono molto popolari fra le donne moderne, quindi c’è da pensare che a loro le mamme abbiano insegnato in un altro modo.
Tuttavia, le donne moderne sono anche sorelle degli uomini moderni, oltre che mogli, amanti, e nemiche, di conseguenza, i gravi sintomi di schizofrenia che sta manifestando il cielo hanno un’evidente origine ereditaria in seno alla famiglia.
È dura, però, diventare adulti perfetti con delle contraddizioni del genere!
Se il testosterone ti si abbassa appena un po’, c’è il rischio di rimetterci la reputazione!
Il grande Woody l’ha raccontato in modo magistrale nell’episodio dello spermatozoo in “Tutto ciò che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere”.
Lui è il protagonista, tutto impegnato a corteggiare una gran bella ragazza, che contraccambia.
All’esterno, la scena è romantica, e l’atmosfera di calde luci soffuse la rende complice. Nell’organismo dell’uomo, invece, si sposta di continuo dalla centrale di comando, che sta nel cervello, alla sala macchine, tre palmi sotto il mento.
Qui c’è un plotone di spermatozoi vestiti da sommozzatori in muta bianca, capeggiati da un altro Woody Allen con gli occhiali e i ciuffi di capelli rossi che spuntano dalla cuffia, i quali attendono spasmodicamente di compiere l’incursione per cui sono nati.
Regna, però, fra costoro, una grande ansia, e Geiar, lo spermatozoo identico al padre, si dispera come un condannato a morte: infatti, l’argano che serve ad erigere il “monumento” è inceppato.
Subissato di mayday, il cervello ha inviato sul posto una squadra di pronto intervento.
Gli operai nerboruti, madidi di sudore, sono impegnati senza sosta nel tentativo convulso di rimettere in funzione la gru prima che sia troppo tardi.
Nella centrale operativa, i tecnici in camice bianco, in preda al panico, si affannano su tutti i sistemi di controllo per individuare l’avaria e guidare l’invasione, ma la situazione precipita, prospettando una catastrofica disfatta.
Quando tutto sembra perduto, lo spermatozoo pel di carota medita il suicidio, ma c’è un clamoroso colpo di scena, e quelli dell’intelligence riescono a catturare il sabotatore clandestino che ha causato il guasto: un pazzo scalmanato vestito da prete.
Lo bloccano, e lo legano stretto ad una sedia, con un bavaglio ficcato in bocca che soffoca sul nascere le sue maledizioni.
Alla fine, il prete terrorista è definitivamente sconfitto e ridotto all’impotenza, gli operai riescono a rimettere in pressione le macchine, squilla la carica, e lo spermatozoo brutto può andare incontro al suo sogno di gloria, morendo da eroe sul campo di battaglia.
E che ci posso fare, io, se sono figlio del mio tempo?
Torill l’avevo incrociata qualche volta per le scale dell’albergo, sulla spiaggia, e per la strada; mi sorrideva, mi faceva i musi, le boccacce… ma io pensavo che volesse scherzare, e la salutavo frettolosamente.
Una volta, m’inchiodò sul pianerottolo sbarrandomi il passo con il corpo da pantera di traverso, le mani protese come artigli contro il mio viso, e le rosse unghie affilate che lo sfioravano intorno agli occhi, mentre i suoi mi ci dardeggiavano dentro degli incredibili lampi azzurri da sopra un sorriso vagamente beffardo.
Ieri sera, però, durante la sosta sul dehor che più o meno tutti si fa prima di andare a dormire, ci siamo ritrovati soli, faccia a faccia: io un po’ deluso della serata, lei triste, e con lo sguardo lontano.
“Ciao!”
“Hi!”
“Che faccia! Dove hai messo i tuoi artigli?”
“Eccoli qua, – ha risposto sfoderandoli di nuovo, e arricciando il naso nella sua minacciosa mimica felina – bada a te, vecchio maniaco sessuale!”
Era bellissima.
“Ne hai già sbranati molti?”
“Questa sera o quando?”
“Quando.”
“Moltissimi.”
Ho percorso ogni tratto del suo viso come un satellite spia, rincorrendo le scintille di quello sguardo che solcavano la notte come stelle cadenti.
“Ci credo… però adesso hai i rimorsi come i coccodrilli, vero? Sarà per questo che hai quell’espressione malinconica.”
“No!”
“E allora? Dai, sorridi! Non vedi come il mondo intero sorride a te?”
“Domani parto.”
“Beh, per ogni inizio c’è sempre una fine, ma si sopravvive.”
“Io non sopravvivrò affatto!” Ha esclamato, mentre dagli occhi le rotolavano sulle gote due perle di rugiada.
“Vuoi dire che non c’è stato alcun inizio?”
La risposta è venuta con un singulto:
“Esatto, proprio così!”
Sentivo di dover sdrammatizzare un po’.
“Sei ancora in tempo, però… se non casca l’aereo, domani sera sarai già fra le braccia di qualche Vichingo grande e grosso, con gli occhi azzurri, i capelli biondi, e un bell’elmo con le corna, non sei contenta?”
Ha sorriso.
“No: il manico dello spadone mi si pianta sempre nello stomaco, e non riesco a respirare… e poi sono bionda anch’io, e con gli occhi azzurri… che gusto c’è?”
Le ho accarezzato il viso: “Se è per questo, più o meno potremmo essere fratelli, noi due, ma tu non mi fai mica schifo, però.”
“Già… è proprio questo il problema: nemmeno tu fai schifo a me…”
Ho taciuto per un po’, interrogandomi sul da farsi.
Lasciarla sola sarebbe stato imperdonabile in tutti i sensi… ma restare?
“Non vai a letto?”
“Non ho sonno per niente.”
“Ma i tuoi ti aspetteranno.”
“Altroché… e mio padre s’è anche raccomandato di tornare presto… Non mi lascia vivere: è gelosissimo!”
“Ah, ho capito: hai voglia di farlo arrabbiare… basta che non se la prenda con me. Andiamo a fare un giro al porto?”
“Va bene, andiamo.”
Abbiamo camminato fianco a fianco sul lungomare semideserto senza nemmeno prenderci per mano, ma ad ogni più leggero soffio del suo profumo, ancor prima che al tocco della pelle, lei mi imprimeva nell’anima un indelebile marchio di fuoco.
Un po’ alla volta, la sua presenza diventava sempre più totalizzante, e ad ogni passo, io mi c’immergevo più in profondità, in una sconosciuta unione metafisica con tutto il mondo intorno, che alla fine c’era solo per quello.
Sul molo, ci siamo inoltrati tra i flutti, passeggiando a lungo quasi sulle onde, nella brezza tiepida della notte di luglio.
Dicevo un sacco di stupidaggini per farla ridere un po’, tentando di regalarle un attimo di gioia per fissarla nell’eternità in un’istantanea della memoria.
Lei sorrideva mestamente e guardava, lontano, i riflessi della luna sulle onde scure.
Tutto ad un tratto, ha esclamato: “Ma fa’ qualcosa !”
E così, ha messo a tacere anche il mio prete.
Ci siamo baciati teneramente, poi le ho chiesto: “Vuoi venire con me?”
“Sì.” Ha risposto con semplicità.
Ci siamo fatti dare una bottiglia di Moscato San Marino dal portiere di notte, e siamo saliti in camera mia.
Abbiamo fatto l’amore finché le lenzuola hanno chiesto pietà, ma non ci bastava e l’abbiamo fatto sotto la doccia, nella finestra davanti al mare, sul terrazzo sotto la luna, ed io ho visto sorgere il sole da dietro il velo dorato dei suoi capelli sparsi sul mio viso, e m’è sembrato che quella luce racchiudesse in sé tutto il senso della vita.
Ti amo, Torill, e non ti dimenticherò mai più.