E IL RE DEGLI ELFI QUATTRO AULE PIÙ IN LÀ

Inizio d’anno in quarta AL

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Quella stessa mattina, in altre parti della scuola, fra insegnanti diversi e diversi alunni, le cose andavano in modo molto diverso.
Al liceo, per esempio, in quarta AL, la Maurer, dopo aver inebriato gli ex compagni di classe del trio chicchirichì col suo avvolgente profumo, stava già tentando di intontirli del tutto anche con la sua smodata passione per il romanticismo tedesco e Johan Wolfgang von Goethe.
Teutonica non solo nel nome, la prof di Tedesco non amava sprecare neppure un minuto, inoltre conosceva già bene tutti i suoi studenti, perciò era partita al gran galoppo.
Aveva rilevato quella classe in terza, dopo che il professor Torrazza era andato in pensione, e benché il suo distaccato fare prussiano non riuscisse ancora a farsi amare come l’eclettica estemporaneità del mitico Anselmo, lei ci si trovava proprio bene.
Tormentata dall’esame di maturità fin dalla terza, preferiva andare dritto al cuore della lingua e della cultura germanica, invece di avventurarsi nei “viaggi” del predecessore dal Russo al Tedesco, attraverso il Latino, che lo avevano reso tanto popolare.
Lui partiva magari da “Umiliati e offesi”, e strabiliava l’uditorio saltellando fra le trasformazioni locali del titolo degli imperatori, che nella lingua di Dostojevsky approda al nome Fyodor dello scrittore dal Caesar romano, e finisce per diventare Kaiser in quella di Goethe; lei, invece, preferiva attenersi scrupolosamente ai testi, riempiendo di compiti a casa e dando del Lei a tutti come si fa in Germania. Così, la professoressa era rispettata e temuta come una cancelliera federale, di conseguenza i ragazzi la sentivano sempre altrettanto lontana e fredda.
Tuttavia, sul piano del profitto loro avevano risposto in maniera eccellente alla sua rivoluzione, e ad eccezione della banda dei tre, anche il comportamento era gradevole, perciò, ora che la quarta AL s’era sbarazzata dei rompiscatole, Gertrud Maurer ci si trovava bene, e poteva mantenere senza difficoltà il passo di marcia sostenuto che preferiva.
Ecco com’era riuscita a sprofondare la classe nel romanticismo tedesco fin dal primo giorno di lezione, per giunta in quarta, cioè un anno prima del ruolino ministeriale.

Le ampie finestre inquadravano un cielo buio e a tratti piovigginoso, che, nell’aula a luci spente, diventava una scura penombra in bianco e nero, in cui s’offuscava persino la costosa lucentezza ramata dei capelli della prof.
Lei parlava con tono piatto nel consueto silenzio educato della sua platea, sull’unico contrappunto occasionale del lieve tintinnio metallico che i pesanti braccialetti d’oro emettevano strisciando sulla cattedra, quando la sfiorava con i gesti pacati delle mani che sottolineavano le sue parole.
Il romanticismo tedesco non è certo l’argomento prediletto di un giovane del ventunesimo secolo, ma, ancora soggiogati dalla germanica fermezza dell’insegnante, i ragazzi l’ascoltavano in religioso silenzio.

“… Goethe è un poeta di immagini grandiose, ma, grazie ad una padronanza tecnica della lingua davvero straordinaria, anche di profonda armonia. Basti dire che talvolta riesce a rendere musicale persino il Tedesco, che, come sapete, gode di ben altra fama.
L’esempio classico e arcinoto è la bellissima poesia che trovate a pagina 312: ‘Il re degli Elfi’… Ascoltate, dunque.
Wer reitet so spät durch Nacht und Wind?
Es ist der Vater, mit seinem Kind
Er hat den Knaben wohl in dem Arm.
Er faßt ihn sicher, er hält ihn warm.

Ecco, sentite con che fluidità descrive in poche parole la scena drammatica dell’uomo a cavallo nella notte ventosa, con che morbida malinconia ritma l’affanno del padre per la sua creatura in preda agli incubi della febbre, l’angoscia con cui cerca di proteggerla nel calore del proprio abbraccio?
….
Siehst, Vater, du den Erlkönig nicht!
Babbo, tu non vedi il re degli Elfi!
Geme il bambino.

Mein Sohn, es ist ein Nebelstreif
Figlio mio, è un velo di nebbia…
Lo rassicura il padre

Il bambino ha paura, il re degli Elfi lo chiama:
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele spiel’ ich mit dir;
Vieni fanciullo caro, vieni con me!
Faremo tanti bei giochi insieme;

Sta delirando.
Sei ruhig, bleibe ruhig, mein Kind
In dürren Blättern säuselt der Wind
Non ti agitare, sta’ tranquillo, bimbo mio
È il vento che sibila tra le foglie secche

Il re degli Elfi brucia di passione:
Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt;
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
Ti amo, mi attrae la tua bella figura
E se tu non vuoi, userò la forza!
…”

In controluce, i profili dei compagni sembravano ombre cinesi.
Alla sua destra, il bel volto attento di Riccardina era l’unico in piena luce, e l’unica cosa che valesse la pena di guardare… ma non poteva nemmeno restare a fissarla incantato come un mammalucco, perciò volse pigramente lo sguardo alla fila accanto, dove Mostafà Abid, tutto solo, disegnava due volti neri fusi in un bacio appassionato. Mostafà era l’unico straniero, in quarta AL.
Davide si allungò sulla sedia a braccia conserte, appoggiando i gomiti al banco verdolino; osservò la figura distrattamente, e si sorprese di accorgersi che l’immaginazione dell’amico vagheggiava l’altra metà del cielo esattamente come la sua.
Be’… certo che se l’aspettava, diamine! Ma quel disegno glielo confermava meglio di mille sagge parole.

La voce della prof cominciò ad allontanarsi come nel dormiveglia.
Gli sarebbe piaciuto andare in Marocco con Mostafà, a far visita ai suoi nonni rimasti là ad allevare maiali… No, non maiali, forse capre, perché i Musulmani non possono mangiare maiale… Ma poi cosa importa? Là dove lo aveva sospinto quella ninnananna, possono anche loro.
Non ricordava da quanto tempo nemmeno lui vedesse un maiale…
… Chissà com’era il Marocco…
… Ma che gliene fregava, a Mostafà, del re degli Elfi? …
… Maiali …
Un enorme suino lo scrutò a lungo negli occhi con le punte delle grandi orecchie che dondolavano all’ingiù, soffiandogli in faccia un alito pestilenziale, e intanto, la voce della Maurer sprofondava come in un’altra dimensione, confondendosi di là da una valle nascosta nella nebbia all’eco dei grugniti senza creanza dell’animale.

“…
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele spiel’ ich mit dir;
…”

Poi, il muso del verro si dissolse nella bruma, lasciando lì gli occhietti di porco al viso imbellettato del re degli Elfi che reclamava per sé il pargolo.

“…
Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt;
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
…”

La morte piroettava ridendo intorno al galoppo notturno dell’uomo disperato che tentava di sottrarre il figlioletto alle sue mani ossute e fredde, ma queste lo ghermivano già forte, e, senza pietà, lo contendevano al padre.

“Lei che dorme! Sa dirmi di che cosa stiamo parlando?”
La voce della Maurer aveva attraversato di nuovo la valle, tornando a sovrastare i grugniti del re elfo, ma chissà, poi, con chi ce l’aveva?
“Davide!”
L’allarme di Riccardina, e ancor più la robusta gomitata nelle costole con cui la compagna di banco gliel’aveva bisbigliato, gli fecero capire che la prof l’aveva proprio con lui.
Si riscosse dalla sonnolenza tentando di raccogliere in fretta le idee.
“Dice a me?” Tergiversò, mostrandosi sorpreso.
“Certo che dico a Lei! Ne vede degli altri che dormono?”
Il suo libro era chiuso; lanciò un’occhiata a quello di Riccardina, aperto alla pagina giusta, e gli parve di capire che il verro che gli aveva grugnito in faccia nell’incubo doveva essere proprio il re pervertito anche alla luce del sole.
“… Del male!?” Buttò lì con un’inflessione che lasciava la porta aperta a tutte le correzioni necessarie.
La Maurer lo guardò interdetta: “Che cosa intende dire? La scena è quella di un padre a cavallo nella notte, in corsa per salvare il figlioletto moribondo… è la morte il male che ha in mente?”
Stella esitò.
“…Sssììì… anche… Il bambino muore… ed è male quando muore un bambino.” Disse.
“Non ho ancora letto questo verso… – Si stupì la prof – Conosce già la poesia?”
“No, lo sto leggendo adesso:
In seinen Armen das Kind war tot…
Fra le sue braccia, il bambino era morto.”
La Maurer si aggiustò sulla sedia.
“Vada a letto prima, la sera!” Consigliò.
Ma la fetente lussuria del maiale che lo aveva oppresso nel suo strano torpore angosciava ancora l’anima di Stella.
“E poi…” Cominciò, ma s’interruppe.
“Dica, dica pure, vuole aggiungere qualcosa?” Lo incoraggiò l’insegnante.
“…No, è che… Sì, anzi… E poi, ecco: io li odio, i pedofili.”
La Maurer lo guardò aggrottando la fronte sorpresa: lei non aveva mai parlato del re degli Elfi in quel modo.
“…Vada a letto prima, la sera. – Ribadì – Dormire le fa bene.”
Poi continuò la sua lezione.

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