POLITICA CREATIVA: FAKE NEWS E VIN DONNINO

Qualche tempo fa, in una popolare trasmissione televisiva, forse Uno Mattina o Storie Italiane, un noto urologo andò a concionare di “andropausa” come di una sindrome maschile assolutamente analoga alla menopausa, ed altrettanto reale nonché ineluttabile, e per dare maggior forza a quanto diceva, ne sciorinò dei sintomi identici a quelli femminili, come vampate di calore, sudorazioni e tremori, a cui a suo dire sarebbero soggetti anche i maschi con l’avanzare dell’età.

Ieri, a Uno Mattina, un altro urologo, altrettanto noto, pur senza fare riferimento al collega lo ha sconfessato clamorosamente, affermando senza mezzi termini che l’andropausa non esiste.

A quale dei due noti urologi credere?

Nella mia ormai lunga esistenza, a me la cultura spicciola della famiglia e del popolo ha sempre raccontato la seconda versione, e solo l’inasprirsi del dibattito di genere, da un certo punto in poi le ha affiancato la prima, tentando di imporla.
Da ingegnere quale sono, a parità di autorevolezza delle fonti io mi attengo ai fatti, e poiché non ho mai riscontrato nei miei amici alcuno dei famigerati sintomi anzidetti, mentre viceversa mi risultano noti a tutti diversi casi di paternità ottuagenaria, continuo a credere che l’andropausa non esista.

Ma la questione va ben oltre le convinzioni del sottoscritto.

Affermare l’esistenza dell’andropausa, infatti, equivale a negare “tout curt” quella di alcune differenze biologiche fondamentali fra uomo e donna, e quindi a privare di ogni fondamento naturale certi usi, come le unioni con forti differenze di età a favore degli uomini, e correlate asimmetrie di comportamento sessuale, che invece traggono origine proprio dalle dette differenze.
A chi tali comportamenti non piacciono, ciò offre un pretesto per tacciarli di “storica sopraffazione”. Al contrario, essi nacquero per accettazione condivisa delle proprie diversità, ma il presunto sopruso pretende una severa condanna morale, e per la follia femminista non c’è nulla di meglio, da aggiungere alle mille altre accuse agitate ogni giorno contro l’intero universo maschile nella guerra senza fine né esclusione di colpi che gli ha dichiarato.
Dunque, a prescindere dalla buona fede di chi la studia, l’andropausa può contribuire all’apparato ideologico di una guerra delirante perché intestina all’umanità e fondata su falsi pregiudizi, c’è quindi un’ottima ragione in più per trattarla con il dovuto rigore scientifico senza lasciarsi fuorviare dalle attese del facile consenso.

“Emarginazione”, tanto per fare il primo esempio di falsi pregiudizi che mi viene in mente… Ma chi, la Regina di Saba? Cleopatra? Teodora di Bisanzio? Isabella di Castiglia? Giovanna d’Arco? Elisabetta d’Inghilterra?
Le donne non hanno bisogno di quote rosa per fare i ministri, perché ci arrivano benissimo da sole e non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno.
I ruoli del passato che con gli occhi di oggi vengono presentati come marginali e frutto di oppressione maschile, erano in realtà consensuale adeguamento alle condizioni del tempo: ben difficilmente le madri preistoriche avrebbero potuto allattare andando a caccia, e l’odierno ritardo sui loro uomini nell’ottenere moderni riconoscimenti come il diritto di voto, su scala storica è irrisorio, oltre che logica conseguenza della dinamica degli eventi. Ma appena le condizioni socio-ambientali si sono evolute, la loro conquista del palcoscenico non si è fatta attendere un giorno di più, se è vero che nei ranghi dell’istruzione le donne superano il settanta per cento da gran tempo, e sono ormai prossime alle stesse quote in altri importanti campi come la sanità.
…Pare che nutrano minore interesse solo per la manovra di schiacciasassi e martelli pneumatici nei lavori stradali di ferragosto…

Eppure, finché noti antropologi continueranno a narrare la storia delle società umane come se ai primordi già ci fossero latte in polvere ed asili nido, l’inserimento della donna ai vertici del potere esterni alla famiglia continuerà ad apparire, ai poveri di spirito, un altro capitolo di feroce sopraffazione maschile.

È delle fake news di noti urologi, antropologi, religiosi, politici ed imbecilli del pari, che si alimentano la schizofrenia contemporanea e la pesante sbornia di “donnismo” che opprime l’Occidente dal crepuscolo del secondo millennio in poi.
E l’elenco di pretestuose quanto astiose querimonie anti maschili è una sfilza infinita. Forse ne affronterò singolarmente qualcuna, come oggi, quando se ne presenterà l’occasione, a cominciare dall’odiosa rappresentazione che i media fanno praticamente di tutti i maschi come di altrettanti orchi assassini di femmine; ora però preferisco utilizzare il poco tempo che mi separa da un buon sonno ristoratore per tentare di giungere ad una conclusione.

La società odierna è in preda ad una sbronza epocale di Vin Donnino: il vino allucinogeno che fa scambiare le lucciole per lanterne, e durante i TG fa pronunciare cinquecento volte la parola “donna” associata a tutto il bene del mondo, e di quando in quando la parola “uomo” se occorre un sinonimo di stupratore, assassino, orco e via dicendo.

E sì che Noi Uomini accettiamo senza lamentarci una decina d’anni in meno di aspettativa di vita, per amore delle meravigliose creature che ci allietano la vita!

Il Vin Donnino produce assuefazione, di modo che, per pagarsi le due o tre bottiglie al giorno di cui hanno bisogno, gli spacciatori più attivi sono proprio gli ubriaconi più incalliti, spesso politici e giornalisti della TV.
Ma ciò allarga l’epidemia a macchia d’olio, nonché il fossato che di per sé divide le due metà del cielo fin dalle origini, perciò, di questo passo, presto non sarà più possibile gettare ponti fra le due sponde.

Occorre allora fermare urgentemente gli untori: mettiamo il bavaglio ai noti urologi, antropologi, religiosi, e politici che si prestano a spargere autorevoli fake news per piaggeria ideologica, o l’umanità intera perirà.

LETTERA APERTA A RAY KURZWEIL, “FUTUROLOGO” DI GOOGLE

Dear Mr. Kurzweil,
I have just read an article about you on the news’ app of my smartphone, getting excited for your vision of the world and future, which covers even the research for immortality.
The piece reminded me some verses from Goethe’s Faust which may be you know well:
“Werd’ich zum Augenblicke sagen:
verweile doch! Du bist so schön!
Dann kannst du mich in Fesseln schlagen
Dann werd’ich gern zu Grunde gehen!”
The impression is that they fit well your personality, and perhaps mine too.

I absolutely agree with your idea of an exponential trend of the progress, as well as with the optimistic fear, or prudent optimism if preferred, concerning the Artificial Intelligence; after all, it could allow us to increase our same intelligence sooner or later. It’s thrilling the wait for when it will be possible to navigate through the whole known world in a virtual trip totally indistinguishable from a real one.
To the same extent, I share your confidence that within few decades the medical science will overcome almost all diseases, and think therefore with hope to the day when cellular size “nanorobots” will be able to reach every site in the body, reprogram cells, regenerate tissues, and so reverse even my incipient blindness.

Despite some regret for my age perhaps too advanced, this semi omnipotent technology leads me also to consider immortality as a possible option, instead as the inevitable dark fate of all.
However, though body regeneration and virtual reality are the first steps to this goal, in my opinion there is also need for another one. Our bodies are not made for eternity in fact: most of their functions are useless in such an infinite life, and “virtually” we can certainly experience all the known world, but hardly beyond: “mass” is the insuperable obstacle which prevents it.

Yet, introducing the complex numbers in the description of a mass, that is an imaginary component aside the common real one, would lead to a wider dimension of what is “true”, which seems to me strictly linked to the oneiric experience. While in this state, in fact, apparently consciousness exists without the need of a material body. Its own one is not present in the “sites” which it reaches or navigates through, nor things which it gets in contact with appear to have a “real” body, at least in terms of a stable shape; finally, but not for importance, often what consciousness perceives – like for example flying freely in the air – does not belong to the ordinary experience of its body, either mental or sensorial, and cannot therefore be produced by the brain. On the other hand, it is often impossible to discriminate whether a certain fact happened dreaming or awake, and as this distinction is itself definition of what is true, it is also wrong considering the oneiric state of consciousness nothing more than a sort of pleasant side effect of the material body, on the contrary, its “world”, offering a much wider spectrum of experiences, should be regarded as the full domain of existence, with effects on the reality completely unexplored. The problem is how to control it voluntarily.

Nothing new: similar thoughts already occurred in much greater minds than mine since the classic Greek antiquity. The only difference is that in the meanwhile Einstein wrote his theory of relativity, and now the artificial intelligence is exploding.
The equations of the said theory describe the mass as a property of things which increases with their speed up to infinite at the speed of light, and becomes imaginary beyond. This let many people consider impossible the inter stellar navigation, ranging the distances from four light years to billions. However, the same theory does not deprive of meaning an imaginary mass, and thus does not exclude the possibility of hyper luminal speeds; on the contrary, it depicts the world a traveller would encounter in such a trip very similar to, if not coincident with that of the oneiric state of consciousness, which allows even going up and down through time.

The daily alternation of dreamy and awake states of consciousness gives me the impression of a window opened on this landscape; the essentially vacuum-structured nature of the universe lets me think of it as an architecture of forces which give shape to the energy by moving small droplets of it according to an inscrutable design. So, the full domain of existence, or the consciousness’ world, seems to me much like a psychic dimension, potentially “all inclusive”, where different levels of imagination can create the realities they want like different videos on a screen.
This is a much more complex world than that ordinarily known, but its properties are better suited to immortality than those of the latter, as a portal between the two sides of existence could open the way to infinite experience too.

I like the idea that the next step of science will be the discovery of this portal which, in a SF book I am presently writing, is based on a way to unfasten the above said forces, that is the links between particles.
Preserving in this process the full information about the related architecture, it is possible to drive the resulting record wherever desired at the necessary speed, and then reproduce the original solid building once on site. This would give round trip access to the said psychic realm, and hence a deeper sense to immortality.

I find exciting your work and envy a bit the way you can do it: in permanent dialogue with beautiful minds which inspire and encourage.
On my side, instead, I am a bit demotivated and though determined to bring to a plausible conclusion the ideas described above, proceed slowly with the book.
The reason is that, other than in your fervent California, here in Italy even the best projects can be left dying in the indifference if they are disliked by someone of power.
Many years ago it happened to me as an engineer in the aero-space field, it happened again later, I denounced it in two books, but nothing changed.

Be happy of yourself and your Country.

Greetings

Fernando De Benedictis

E IL RE DEGLI ELFI QUATTRO AULE PIÙ IN LÀ

Inizio d’anno in quarta AL

—–ooo—–

Quella stessa mattina, in altre parti della scuola, fra insegnanti diversi e diversi alunni, le cose andavano in modo molto diverso.
Al liceo, per esempio, in quarta AL, la Maurer, dopo aver inebriato gli ex compagni di classe del trio chicchirichì col suo avvolgente profumo, stava già tentando di intontirli del tutto anche con la sua smodata passione per il romanticismo tedesco e Johan Wolfgang von Goethe.
Teutonica non solo nel nome, la prof di Tedesco non amava sprecare neppure un minuto, inoltre conosceva già bene tutti i suoi studenti, perciò era partita al gran galoppo.
Aveva rilevato quella classe in terza, dopo che il professor Torrazza era andato in pensione, e benché il suo distaccato fare prussiano non riuscisse ancora a farsi amare come l’eclettica estemporaneità del mitico Anselmo, lei ci si trovava proprio bene.
Tormentata dall’esame di maturità fin dalla terza, preferiva andare dritto al cuore della lingua e della cultura germanica, invece di avventurarsi nei “viaggi” del predecessore dal Russo al Tedesco, attraverso il Latino, che lo avevano reso tanto popolare.
Lui partiva magari da “Umiliati e offesi”, e strabiliava l’uditorio saltellando fra le trasformazioni locali del titolo degli imperatori, che nella lingua di Dostojevsky approda al nome Fyodor dello scrittore dal Caesar romano, e finisce per diventare Kaiser in quella di Goethe; lei, invece, preferiva attenersi scrupolosamente ai testi, riempiendo di compiti a casa e dando del Lei a tutti come si fa in Germania. Così, la professoressa era rispettata e temuta come una cancelliera federale, di conseguenza i ragazzi la sentivano sempre altrettanto lontana e fredda.
Tuttavia, sul piano del profitto loro avevano risposto in maniera eccellente alla sua rivoluzione, e ad eccezione della banda dei tre, anche il comportamento era gradevole, perciò, ora che la quarta AL s’era sbarazzata dei rompiscatole, Gertrud Maurer ci si trovava bene, e poteva mantenere senza difficoltà il passo di marcia sostenuto che preferiva.
Ecco com’era riuscita a sprofondare la classe nel romanticismo tedesco fin dal primo giorno di lezione, per giunta in quarta, cioè un anno prima del ruolino ministeriale.

Le ampie finestre inquadravano un cielo buio e a tratti piovigginoso, che, nell’aula a luci spente, diventava una scura penombra in bianco e nero, in cui s’offuscava persino la costosa lucentezza ramata dei capelli della prof.
Lei parlava con tono piatto nel consueto silenzio educato della sua platea, sull’unico contrappunto occasionale del lieve tintinnio metallico che i pesanti braccialetti d’oro emettevano strisciando sulla cattedra, quando la sfiorava con i gesti pacati delle mani che sottolineavano le sue parole.
Il romanticismo tedesco non è certo l’argomento prediletto di un giovane del ventunesimo secolo, ma, ancora soggiogati dalla germanica fermezza dell’insegnante, i ragazzi l’ascoltavano in religioso silenzio.

“… Goethe è un poeta di immagini grandiose, ma, grazie ad una padronanza tecnica della lingua davvero straordinaria, anche di profonda armonia. Basti dire che talvolta riesce a rendere musicale persino il Tedesco, che, come sapete, gode di ben altra fama.
L’esempio classico e arcinoto è la bellissima poesia che trovate a pagina 312: ‘Il re degli Elfi’… Ascoltate, dunque.
Wer reitet so spät durch Nacht und Wind?
Es ist der Vater, mit seinem Kind
Er hat den Knaben wohl in dem Arm.
Er faßt ihn sicher, er hält ihn warm.

Ecco, sentite con che fluidità descrive in poche parole la scena drammatica dell’uomo a cavallo nella notte ventosa, con che morbida malinconia ritma l’affanno del padre per la sua creatura in preda agli incubi della febbre, l’angoscia con cui cerca di proteggerla nel calore del proprio abbraccio?
….
Siehst, Vater, du den Erlkönig nicht!
Babbo, tu non vedi il re degli Elfi!
Geme il bambino.

Mein Sohn, es ist ein Nebelstreif
Figlio mio, è un velo di nebbia…
Lo rassicura il padre

Il bambino ha paura, il re degli Elfi lo chiama:
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele spiel’ ich mit dir;
Vieni fanciullo caro, vieni con me!
Faremo tanti bei giochi insieme;

Sta delirando.
Sei ruhig, bleibe ruhig, mein Kind
In dürren Blättern säuselt der Wind
Non ti agitare, sta’ tranquillo, bimbo mio
È il vento che sibila tra le foglie secche

Il re degli Elfi brucia di passione:
Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt;
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
Ti amo, mi attrae la tua bella figura
E se tu non vuoi, userò la forza!
…”

In controluce, i profili dei compagni sembravano ombre cinesi.
Alla sua destra, il bel volto attento di Riccardina era l’unico in piena luce, e l’unica cosa che valesse la pena di guardare… ma non poteva nemmeno restare a fissarla incantato come un mammalucco, perciò volse pigramente lo sguardo alla fila accanto, dove Mostafà Abid, tutto solo, disegnava due volti neri fusi in un bacio appassionato. Mostafà era l’unico straniero, in quarta AL.
Davide si allungò sulla sedia a braccia conserte, appoggiando i gomiti al banco verdolino; osservò la figura distrattamente, e si sorprese di accorgersi che l’immaginazione dell’amico vagheggiava l’altra metà del cielo esattamente come la sua.
Be’… certo che se l’aspettava, diamine! Ma quel disegno glielo confermava meglio di mille sagge parole.

La voce della prof cominciò ad allontanarsi come nel dormiveglia.
Gli sarebbe piaciuto andare in Marocco con Mostafà, a far visita ai suoi nonni rimasti là ad allevare maiali… No, non maiali, forse capre, perché i Musulmani non possono mangiare maiale… Ma poi cosa importa? Là dove lo aveva sospinto quella ninnananna, possono anche loro.
Non ricordava da quanto tempo nemmeno lui vedesse un maiale…
… Chissà com’era il Marocco…
… Ma che gliene fregava, a Mostafà, del re degli Elfi? …
… Maiali …
Un enorme suino lo scrutò a lungo negli occhi con le punte delle grandi orecchie che dondolavano all’ingiù, soffiandogli in faccia un alito pestilenziale, e intanto, la voce della Maurer sprofondava come in un’altra dimensione, confondendosi di là da una valle nascosta nella nebbia all’eco dei grugniti senza creanza dell’animale.

“…
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
Gar schöne Spiele spiel’ ich mit dir;
…”

Poi, il muso del verro si dissolse nella bruma, lasciando lì gli occhietti di porco al viso imbellettato del re degli Elfi che reclamava per sé il pargolo.

“…
Ich liebe dich, mich reizt deine schöne Gestalt;
Und bist du nicht willig, so brauch ich Gewalt!
…”

La morte piroettava ridendo intorno al galoppo notturno dell’uomo disperato che tentava di sottrarre il figlioletto alle sue mani ossute e fredde, ma queste lo ghermivano già forte, e, senza pietà, lo contendevano al padre.

“Lei che dorme! Sa dirmi di che cosa stiamo parlando?”
La voce della Maurer aveva attraversato di nuovo la valle, tornando a sovrastare i grugniti del re elfo, ma chissà, poi, con chi ce l’aveva?
“Davide!”
L’allarme di Riccardina, e ancor più la robusta gomitata nelle costole con cui la compagna di banco gliel’aveva bisbigliato, gli fecero capire che la prof l’aveva proprio con lui.
Si riscosse dalla sonnolenza tentando di raccogliere in fretta le idee.
“Dice a me?” Tergiversò, mostrandosi sorpreso.
“Certo che dico a Lei! Ne vede degli altri che dormono?”
Il suo libro era chiuso; lanciò un’occhiata a quello di Riccardina, aperto alla pagina giusta, e gli parve di capire che il verro che gli aveva grugnito in faccia nell’incubo doveva essere proprio il re pervertito anche alla luce del sole.
“… Del male!?” Buttò lì con un’inflessione che lasciava la porta aperta a tutte le correzioni necessarie.
La Maurer lo guardò interdetta: “Che cosa intende dire? La scena è quella di un padre a cavallo nella notte, in corsa per salvare il figlioletto moribondo… è la morte il male che ha in mente?”
Stella esitò.
“…Sssììì… anche… Il bambino muore… ed è male quando muore un bambino.” Disse.
“Non ho ancora letto questo verso… – Si stupì la prof – Conosce già la poesia?”
“No, lo sto leggendo adesso:
In seinen Armen das Kind war tot…
Fra le sue braccia, il bambino era morto.”
La Maurer si aggiustò sulla sedia.
“Vada a letto prima, la sera!” Consigliò.
Ma la fetente lussuria del maiale che lo aveva oppresso nel suo strano torpore angosciava ancora l’anima di Stella.
“E poi…” Cominciò, ma s’interruppe.
“Dica, dica pure, vuole aggiungere qualcosa?” Lo incoraggiò l’insegnante.
“…No, è che… Sì, anzi… E poi, ecco: io li odio, i pedofili.”
La Maurer lo guardò aggrottando la fronte sorpresa: lei non aveva mai parlato del re degli Elfi in quel modo.
“…Vada a letto prima, la sera. – Ribadì – Dormire le fa bene.”
Poi continuò la sua lezione.

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“Il professor Battista” e-book: http://www.librinmente.it/home/58-il-professor-battista-9788894995616.html

“Il professor Battista” edizione cartacea: https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/388270/il-professor-battista/