Da diversi anni seguo attentamente i progressi della medicina rigenerativa nel mondo per un concreto interesse personale legato a certi miei problemi di vista.
Ieri ho letto che una società americana di nome jCyte sta iniziando la seconda fase di sperimentazione di un suo prodotto a base di cellule staminali che promette di restituire la vista ai ciechi. La fase uno è stata superata con pieno successo, e risultati preliminari che fanno sperare altrettanto bene per la due. Poi ne seguirà una terza, e se tutto va bene, in poco più di un paio d’anni si potrà cominciare a praticare su larga scala la cura “miracolosa”.
La jCyte è nata praticamente dal nulla grazie ai finanziamenti di DECINE DI MILIONI DI DOLLARI di un ente pubblico californiano, il CIRM, che aiuta così i migliori progetti nel campo della medicina rigenerativa a diventare concrete realtà industriali ad alta remuneratività.
Pur registrando con soddisfazione la notizia, non ho potuto fare a meno di ripensare amaramente ai casi miei ed alla situazione italiana, poiché qui le cose vanno molto diversamente ed io, ahimè, ne sono un testimone diretto.
Ho brevettato diverse idee, infatti, alcune delle quali pubblicate da importantissime riviste scientifiche, ma diversamente da quanto sarebbe accaduto negli USA, questa mia attitudine mi ha fatto solo dei gran danni.
Mi limiterò a citare il caso dei DRONI per lo stridente contrasto con la vicenda della jCyte, ma purtroppo potrei raccontare anche di peggio.
Nel 1986 brevettai un dispositivo per generare spinta aerodinamica con minor impiego di potenza (e quindi minor consumo energetico) delle normali eliche, e pubblicai un articolo in merito sugli ”Atti dell’Accademia delle Scienze di Bologna”.
Riflettevo già da tempo sulla possibilità di realizzare un drone, e quel dispositivo sembrava particolarmente indicato allo scopo, poiché in caso di successo sarebbe stato un ulteriore elemento di innovazione dell’idea del drone, già rivoluzionaria di per sé.
Nel 1987 aprii il primo studio di progettazione computerizzata tridimensionale di Bologna, e, previa consultazione con la dirigenza della Confartigianato, lo iscrissi in tale associazione.
Naturalmente avevo il problema di trovare dei clienti che capissero cosa offrivo loro, perciò, nella ricerca, esplorai anche il settore pubblico.
Mi imbattei così in una recente legge della Regione Emilia Romagna che stanziava fondi per lo sviluppo di progetti di innovazione tecnologica nelle imprese artigiane.
Stando al testo, la legge era allettante, poiché copriva abbondantemente anche i costi di progettazione, cioè proprio l’attività del mio studio. Calcolai che con quel finanziamento avrei potuto sviluppare il drone senza bisogno di dedicarmi ad altro per tutto il tempo programmato, ma poiché già allora non mi fidavo del modo come in Italia si gestisce il denaro pubblico, stavo già per rinunciare, e dedicarmi esclusivamente alle commesse esterne.
Sfortunatamente, però, ebbi una sponsorizzazione privata che mi avrebbe consentito almeno di iniziare, e poiché, d’altra parte, la funzionaria della regione che mi aveva proposto la legge insisteva che il finanziamento era pressoché certo a condizione di essere un’impresa artigiana con un progetto innovativo, alla fine cedetti alla tentazione imprenditoriale. In fin dei conti, all’artigianato ero regolarmente iscritto, e un progetto innovativo l’avevo, eccome!
La prima domanda fu respinta con la motivazione che il fatturato era troppo basso.
Ricorsi al difensore civico obiettando che l’azienda era stata appena aperta, e soprattutto che quel criterio di selezione non era contemplato nel bando.
La commissione si dimostrò molto contrariata dal ricorso al difensore civico
e suggerì di ritentare l’anno dopo.
L’anno dopo, la domanda fu respinta con la motivazione che il progetto era da ingegneri e non da artigiani, e la Confartigianato, chiamata in causa per questo, si fece di nebbia. Inutile sottolineare i legami politico-economici fra tutte le parti in causa, ad eccezione del sottoscritto.
Una successiva domanda di inserimento in un programma regionale di sostegno alle startup tecnologiche, che erano la naturale evoluzione del mio studio in un’azienda di prototipazione rapida con attività interne ed esterne di ricerca applicata, cadde nel vuoto perché la responsabile della commissione non “credeva” nei droni, e per non dirla così, spiegò che non ne avevo documentato l’impatto commerciale… E come cavolo avrei potuto “documentarlo”, visto che i droni non esistevano ancora?
Intanto gli affari dello sponsor avevano preso una brutta piega, tanto che non fu nemmeno in grado di far fronte all’ultima rata del contributo promesso.
Così il progetto dovette fermarsi alla prima architettura d’insieme, che si può vedere nell’articolo di Aeronautica e Difesa qui allegato, ed ai collaudi parziali dei relativi componenti.
Si potrà dire che il prototipo dell’articolo è piuttosto diverso dai droni attuali, ma all’epoca erano ancora di là da venire sia i motori elettrici adatti allo scopo, sia i relativi sistemi di controllo e regolazione, sia le telecamere Gopro, e inoltre il dispositivo di sollevamento era deliberatamente alternativo alle eliche, con lo scopo di sostituirle come ulteriore innovazione in caso di successo della ricerca.
In ogni caso eravamo in anticipo di decenni rispetto alla comparsa definitiva dei droni, perciò probabilmente saremmo stati i primi ad uscire, con un finanziamento come quelli che i buoni progetti ricevono in America, e forse anche con qualche pregio in più.
Viste le decine di milioni di dollari che il CIRM ha erogato alla jCyte, immagino che sia l’uno sia l’altra si aspettino un consistente e rapido incremento del PIL della California, quando la startup biotecnologica sarà in grado di commercializzare i suoi progenitori retinici per la cura della cecità….
Chissà quanto sarebbe l’incremento del PIL dell’Emilia Romagna, se adesso la regione potesse annoverare un’azienda leader nella produzione di droni e nella ricerca applicata, con tante altre idee nel cassetto, ancora migliori!